Il laboratorio di lettura dedicato alla
scoperta di storie di paesi nel mondo diversi dal nostro sta pian
piano diventando un appuntamento fisso e ci offre sempre nuovi spunti
di riflessione.
Questa volta ci siamo confrontati con
la delicata scrittura di un autore contemporaneo di origini
argentine, Marcelo Figueras, e con il suo ultimo romanzo intitolato
Kamchatka. E' il 1976 quando
Harry e la sua famiglia sono costretti a lasciare Buenos Aires in
seguito al colpo di Stato e alla persecuzione dei vari dissidenti
politici.
Questa storia
toccante e a tratti divertente e ironica ci ha ispirato tre
principali fili tematici attraverso cui ognuno di noi si è ispirato
per raccontare la proprie esperienza di vita...
Cosa vuol dire per te ''giocare''a
essere qualcun altro per sopravvivere?
1976: diario di una tua giornata
Parlami di un luogo - non segnato in
alcuna carta geografica – dove potersi rifugiare e resistere prima
di affrontare il mondo.
Queste di seguito
sono alcune delle immagini emerse durante l'educativa di oggi. Buona
lettura...
Quando ero piccola giocavo con altri
bambini e dato che ero molto insicura e taciturna erano gli altri a
decidere a cosa giocare. Io mi sentivo molto infelice anche in casa
perché mia madre non era buona con me, eravamo quattro sorelle e io
mi sentivo la pecora nera della famiglia. Mia madre mi mandava a
lavorare a l'età di tredici anni e poi i soldi che guadagnavo se li
teneva per sé. Così all'età di sedici anni mi sono fidanzata e
dopo tre mesi ho detto al mio ragazzo che volevo un bambino. E così
è stato. Mi sono sposata che aspettavo un bambino, finalmente sono
potuta andarmene dalla casa dei miei genitori. Ancora penso che ho
fatto benissimo a 'giocare' la mia vita, a sposarmi a sedici anni
perché da allora ad oggi sto bene con mio marito e i miei due figli.
A.C.
Un posto dove rifugiarmi e resistere
prima di affrontare il mondo per me è questo ospedale, dove sto
soggiornando, a meno che non mi stia sbagliando e che voglia soltanto
darmi tempo e lasciarmi fagocitare dalla tristezza... Vedo però che
anche una buona lettura, come quella di stamani, mi aiuta a
proteggermi dalla tristezza in cui fuggo spesso, troppo spesso.
P.G.
Io gioco a essere un'altra persona
quando devo scappare dalle persone che hanno intenzioni malvagie. Mi
nascondo da loro come una lucertola mimetizzata per non farmi vedere
e sopravvivere alla cattiveria di alcuni uomini.
A.M.
Era il 1976, avevo un anno e una
sorella maggiore, Barbara, che ne aveva sei. Solo cinque anni più di
me, ma a me sembrava come una piccola mamma. Io mi fidavo di mia
sorella e lei si prendeva cura di me. Mi aiutava a stare in piedi per
fare i primi passi e mi diceva sempre: ''Dai che quando impari a
camminare vieni a giocare in giardino con me!''. Quando mia madre mi
cambiava il pannolino lei voleva mettermi sempre il borotalco. Fu
così che poi cominciai a camminare e Barbara mi lasciò la mano, ma
fu sempre con me.
E.P.
Siate soprattutto capaci di
riconoscere oggi l'ingiustizia commessa contro chiunque, in qualsiasi
luogo e parte del mondo. E' questa la qualità più bella di ogni
rivoluzionario. Queste sono approssimativamente le parole di Che
Guevara. E' una frase che mi fa pensare tantissimo alla mia
adolescenza, quando già ero un militante politico e conoscevo molto
bene quello che stava accadendo nel mondo. Nel 1976 avevo cominciato
a lottare nel sociale, ma soprattutto volevo qui in Italia cose
accadute precedentemente, nel 1945, raccontate dai miei nonni e dalla
mia famiglia. Le parole di Che Guevara mi accompagnano ancora oggi e
mi portano a vivere onestamente. Odio e ho sempre odiato la
dittatura, di qualunque origine fosse. Penso comunque, e so che
qualunque 'divisa' può a un certo punto sbagliare, ma se succede
deve pagarne le conseguenze. Nel mondo sono tante le nazioni e i
continenti, ognuno a sé, con i propri sistemi politici e
giudiziari... Ma alla fine credo che ci sia un senso comune, uguale
per tutti e in ogni luogo, di giustizia. Mi ci fa pensare anche una
antica poesia... che dice: Son così oggi le nostre bandiere, il
popolo cucì gli stracci con sofferenza, l'azzurro un lembo del
firmamento, con mano ardente conficcò la stella, il rosso goccia a
goccia già nasceva.
M.D.V.
Il luogo dove rifugiarmi per me era
il posto in cui lavoravo, la mia pasticceria. A un cero punto non è
stato più possibile a causa di problemi di denaro e di salute.
Vorrei tanto tornare a essere quello che ero e sentirmi di nuovo
protetto.
P.V.
Un posto dove rifugiarmi e resistere
è la mia famiglia, il luogo sicuro dove imparare e fare le cose
insieme per tutta la vita. Certo, tutti impariamo molto anche dagli
scambi di esperienze che avvengono all'esterno, attraverso le persone
che vivono diversamente da noi, ma resta la famiglia per me il porto
sicuro a cui poter sempre fare riferimento...
D.T.
Nel 1976 ero appena un giovanotto,
avevo sedici anni, la mia giornata trascorreva tra scuola e officina
e se mi restava un po' di tempo lo dedicavo alla musica. La mattina
mi svegliavo presto e con mia zia, con cui vivevo, dopo aver mangiato
qualcosa, ci avviavamo alla fermata del bus per poi recarci al
ristorante di mia zia. Mi piaceva tanto il tragitto che facevamo, mi
divertiva, anche se il più delle volte le persone che incontravamo
erano sempre le stesse. Mi capitò poi di fare amicizia con una
ragazza, una mia coetanea ma diversa da me: lei faceva il liceo, io
ancora le medie. Questa cosa un po' mi faceva vergognare, però in
compenso io lavoravo e questo mi faceva sentire riscattato! E
soprattutto a lei piaceva, perché avrebbe preferito anche lei
lavorare anziché studiare. Ricordo con gioia anche le giornate
passate in officina: più che un lavoro la cosa per me era un gioco.
Il mio datore era di una simpatia unica, sempre con la battuta
pronta. Vorrei tanto rivivere quei momenti che ora come ora mi
mancano davvero moltissimo.
P.S.