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lunedì 22 settembre 2014

Parole a colori



Fanno parte di quel vasto insieme che viene definito oggetti intermedi le immagini e i testi letterari che nei nostri laboratori riabilitativi di gruppo utilizziamo per aiutare i degenti a scambiare e condividere i propri affetti e vissuti. Sono strumenti di lavoro ogni volta diversi che non solo attivano la creatività, ma servono anche per prendere coscienza delle somiglianze che ognuno di noi ha con le persone che si trovano al nostro fianco. Le immagini e i testi assumono dunque anche una funzione di legame nella misura in cui stimolano l’immaginario individuale e di gruppo, facendoci comprendere pienamente quanto ogni dimensione soggettiva non possa mai essere opposta ad una dimensione sociale e collettiva.
Nello svolgimento dell’attività di gruppo si cerca di guidare l’osservazione delle immagini e la stesura di brevi scritti affinché i degenti possano riuscire a riflettere e rielaborare in maniera condivisa le proprie esperienze. La scrittura nel far questo è un mezzo che facilita la comunicazione e il superamento del senso di isolamento che il dolore e l'angoscia riescono spesso a produrre. Dall’altra parte le immagini, chiedendo di essere osservate e di sensibilizzarsi a quelle che comunicano più di altre, fanno da supporto a tutti quelli che abbiano difficoltà ad esprimersi e a parlare in gruppo del proprio intimo.

Osservazione delle immagini e scrittura sono sempre seguite dalla condivisione: ognuno presenta il proprio pensiero e viene ascoltato dagli altri, che a loro volta possono dire ciò che dal loro punto di vista emerge di simile o differente. E’ nella contaminazione e nel contatto che si crea un’identità di gruppo diversa, in cui potersi sentire compresi e vicini gli uni agli altri...


mercoledì 17 settembre 2014

Foglie di vite e grappoli d'uva



La Vite in molte culture è la rappresentazione della Vita verso un percorso di tipo evolutivo e di miglioramento. Le origini di questa pianta risalgono a tempi antichissimi e la sua simbologia arcaica e circondata di sacralità ci regala ancora oggi importanti spunti di riflessione: l’idea di nascita, di crescita, di trasformazione e tanto altro ancora.
Prendendo spunto da tutti questi aspetti abbiamo realizzato con cartone e matite colorate la nostra Vite da appendere alla parete del nostro laboratorio: le foglie che ogni degente ha disegnato rappresentano i loro successi passati, le loro conquiste, i loro obiettivi raggiunti. I grappoli d’uva invece sono tutto ciò che ognuno si immagina e si aspetta di poter raggiungere una volta arrivato a conclusione il proprio percorso riabilitativo...






domenica 7 settembre 2014

Letture migranti



Il laboratorio di lettura dedicato alla scoperta di storie di paesi nel mondo diversi dal nostro sta pian piano diventando un appuntamento fisso e ci offre sempre nuovi spunti di riflessione.
Questa volta ci siamo confrontati con la delicata scrittura di un autore contemporaneo di origini argentine, Marcelo Figueras, e con il suo ultimo romanzo intitolato Kamchatka. E' il 1976 quando Harry e la sua famiglia sono costretti a lasciare Buenos Aires in seguito al colpo di Stato e alla persecuzione dei vari dissidenti politici.
Questa storia toccante e a tratti divertente e ironica ci ha ispirato tre principali fili tematici attraverso cui ognuno di noi si è ispirato per raccontare la proprie esperienza di vita...

Cosa vuol dire per te ''giocare''a essere qualcun altro per sopravvivere?
1976: diario di una tua giornata
Parlami di un luogo - non segnato in alcuna carta geografica – dove potersi rifugiare e resistere prima di affrontare il mondo.

Queste di seguito sono alcune delle immagini emerse durante l'educativa di oggi. Buona lettura...




Quando ero piccola giocavo con altri bambini e dato che ero molto insicura e taciturna erano gli altri a decidere a cosa giocare. Io mi sentivo molto infelice anche in casa perché mia madre non era buona con me, eravamo quattro sorelle e io mi sentivo la pecora nera della famiglia. Mia madre mi mandava a lavorare a l'età di tredici anni e poi i soldi che guadagnavo se li teneva per sé. Così all'età di sedici anni mi sono fidanzata e dopo tre mesi ho detto al mio ragazzo che volevo un bambino. E così è stato. Mi sono sposata che aspettavo un bambino, finalmente sono potuta andarmene dalla casa dei miei genitori. Ancora penso che ho fatto benissimo a 'giocare' la mia vita, a sposarmi a sedici anni perché da allora ad oggi sto bene con mio marito e i miei due figli.

A.C.

Un posto dove rifugiarmi e resistere prima di affrontare il mondo per me è questo ospedale, dove sto soggiornando, a meno che non mi stia sbagliando e che voglia soltanto darmi tempo e lasciarmi fagocitare dalla tristezza... Vedo però che anche una buona lettura, come quella di stamani, mi aiuta a proteggermi dalla tristezza in cui fuggo spesso, troppo spesso.

P.G.

Io gioco a essere un'altra persona quando devo scappare dalle persone che hanno intenzioni malvagie. Mi nascondo da loro come una lucertola mimetizzata per non farmi vedere e sopravvivere alla cattiveria di alcuni uomini.

A.M.

Era il 1976, avevo un anno e una sorella maggiore, Barbara, che ne aveva sei. Solo cinque anni più di me, ma a me sembrava come una piccola mamma. Io mi fidavo di mia sorella e lei si prendeva cura di me. Mi aiutava a stare in piedi per fare i primi passi e mi diceva sempre: ''Dai che quando impari a camminare vieni a giocare in giardino con me!''. Quando mia madre mi cambiava il pannolino lei voleva mettermi sempre il borotalco. Fu così che poi cominciai a camminare e Barbara mi lasciò la mano, ma fu sempre con me.

E.P.

Siate soprattutto capaci di riconoscere oggi l'ingiustizia commessa contro chiunque, in qualsiasi luogo e parte del mondo. E' questa la qualità più bella di ogni rivoluzionario. Queste sono approssimativamente le parole di Che Guevara. E' una frase che mi fa pensare tantissimo alla mia adolescenza, quando già ero un militante politico e conoscevo molto bene quello che stava accadendo nel mondo. Nel 1976 avevo cominciato a lottare nel sociale, ma soprattutto volevo qui in Italia cose accadute precedentemente, nel 1945, raccontate dai miei nonni e dalla mia famiglia. Le parole di Che Guevara mi accompagnano ancora oggi e mi portano a vivere onestamente. Odio e ho sempre odiato la dittatura, di qualunque origine fosse. Penso comunque, e so che qualunque 'divisa' può a un certo punto sbagliare, ma se succede deve pagarne le conseguenze. Nel mondo sono tante le nazioni e i continenti, ognuno a sé, con i propri sistemi politici e giudiziari... Ma alla fine credo che ci sia un senso comune, uguale per tutti e in ogni luogo, di giustizia. Mi ci fa pensare anche una antica poesia... che dice: Son così oggi le nostre bandiere, il popolo cucì gli stracci con sofferenza, l'azzurro un lembo del firmamento, con mano ardente conficcò la stella, il rosso goccia a goccia già nasceva.

M.D.V.

Il luogo dove rifugiarmi per me era il posto in cui lavoravo, la mia pasticceria. A un cero punto non è stato più possibile a causa di problemi di denaro e di salute. Vorrei tanto tornare a essere quello che ero e sentirmi di nuovo protetto.

P.V.

Un posto dove rifugiarmi e resistere è la mia famiglia, il luogo sicuro dove imparare e fare le cose insieme per tutta la vita. Certo, tutti impariamo molto anche dagli scambi di esperienze che avvengono all'esterno, attraverso le persone che vivono diversamente da noi, ma resta la famiglia per me il porto sicuro a cui poter sempre fare riferimento...

D.T.

Nel 1976 ero appena un giovanotto, avevo sedici anni, la mia giornata trascorreva tra scuola e officina e se mi restava un po' di tempo lo dedicavo alla musica. La mattina mi svegliavo presto e con mia zia, con cui vivevo, dopo aver mangiato qualcosa, ci avviavamo alla fermata del bus per poi recarci al ristorante di mia zia. Mi piaceva tanto il tragitto che facevamo, mi divertiva, anche se il più delle volte le persone che incontravamo erano sempre le stesse. Mi capitò poi di fare amicizia con una ragazza, una mia coetanea ma diversa da me: lei faceva il liceo, io ancora le medie. Questa cosa un po' mi faceva vergognare, però in compenso io lavoravo e questo mi faceva sentire riscattato! E soprattutto a lei piaceva, perché avrebbe preferito anche lei lavorare anziché studiare. Ricordo con gioia anche le giornate passate in officina: più che un lavoro la cosa per me era un gioco. Il mio datore era di una simpatia unica, sempre con la battuta pronta. Vorrei tanto rivivere quei momenti che ora come ora mi mancano davvero moltissimo.


P.S.